mercoledì 10 aprile 2024

A zonzo per Trieste

 Oggi rilancio dei links..
Di solito qua porto pensieri miei, ma ho trovato due articoli che meritano la condivisione.
Solo.... il castello di Maximilian si chiama MIRAMAR, in spagnolo!!
Lo storpiamento italiano di aggiungerci la E finale... Risparmiatelo...

Trekking a Trieste:
https://www.gqitalia.it/article/trieste-guida-cosa-fare-trekking-arrampicate


Un Mare di Roccia:
https://www.discover-trieste.it/Cose-da-fare-/Arrampicata/Montagna-quota-zero/mare-di-roccia


Buona lettura!

giovedì 14 settembre 2023

MARE CONTRO TERRA: LA STORIA INFINITA

 

MARE CONTRO TERRA: LA STORIA INFINITA

Gli appelli di Biden al G7, all'Europa e alla NATO, riecheggiano i timori espressi quasi 120 anni fa, da uno dei padri della geopolitica: Sir Harford Mackinder. La sua teoria è tornata in auge nell'ultimo decennio poiché spiega, meglio di altre, l'attuale situazione di contrapposizione tra Cina e Russia da una parte, USA, Europa e Gran Bretagna dall'altra. Quella che segue è una summa della sua opera e del suo pensiero strategico, di grande intuito a suo tempo, di ispirazione per altri autori moderni (Brzezinski su tutti), valido per un secolo ed ancora oggi di grande attualità.

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di Fabrizio Bertolami per comedochisciotte.org

Harford Mackinder : Il Perno Geografico della Storia

La crescente competizione tecnologica per l’appropriazione degli spazi era chiara a Sir Harford Mackinder (1861 – 1947) quando nel 1904 nel discorso The Geographical pivot of History, sostenne che le potenze marittime fossero in declino su quelle continentali a causa proprio dell’avvento della ferrovia. Il geografo di sua Maestà sosteneva che si potesse individuare un area detta “Heartland” che sarebbe divenuta il centro del potere mondiale in quanto controllando questa era possibile controllare l’Isola Mondo, e quindi il Globo.

La Germania grazie alla ferrovia poteva accedere più rapidamente a quest’area ed era quindi avvantaggiata nella corsa verso l’egemonia, rispetto alle sue concorrenti marittime. L’area dell’Heartland corrisponde, nella teoria di Mackinder, alla massa asiatica che va dal Pacifico all’Ungheria in direzione Est-Ovest e dal circolo polare artico all’Iran in direzione Nord Sud. Il controllo di quest’area garantiva il controllo della cosiddetta Isola Mondo, che comprende l’Europa e il Medio Oriente,determinando quindi il controllo dell’Africa e perciò del Mondo. Il pivot o perno geografico viene definito nel discorso del 1904 come :

[…].quella vasta area dell’Eurasia, inaccessibile alle navi ma percorsa nell’antichità da nomadi a cavallo, che oggi sta per essere ricoperta da una fitta rete di ferrovie […]. In questo luogo, vi sono state e vi sono tuttora le condizioni per una mobilità della potenza militare e economica di vasta portata” (1).

 Il perno geografico secondo Mackinder

La potenza che a quel tempo occupava l’Heartland era la Russia sebbene fosse la Germania, in forte ascesa soprattutto militare, ad essere citata tra le righe. Preoccupazione di Mackinder era che queste due Potenze non si unissero più strettamente poiché ciò avrebbe permesso alla Russia di incunearsi nello spazio europeo e alterare progressivamente il rapporto di forze tra potenze marittime e terrestri. Ovviamente egli pensava che fosse dovere della potenza Britannica fare di tutto perché ciò non avvenisse.

Mackinder era al tempo non solo professore della Società Reale di Geografia, istituzione molto ascoltata dai decisori politici britannici, ma anche direttore della “London School of Economics”. Fondamentale nella sua teoria era l’enfasi sul carattere determinante del luogo e delle condizioni ambientali delle nazioni. Egli pensava che gli stati situati al margine delle masse continentali possedessero vantaggi intrinseci rispetto agli stati presenti sulla massa euroasiatica. Ciò era dovuto agli accessi marittimi e solo l’avvento delle ferrovie avrebbe potuto mettere in discussione tale predominio. Il mare infatti non prevedeva quei confini che le merci via terra dovevano attraversare, ma gli accordi interstatali per la costruzione di ferrovie stavano per rendere nuovamente concorrenziale la via terrestre al traffico merci.

Mackinder usò le condizioni fisico-geografiche dei territori per prevedere il corso e le prospettive della politica mondiale. Il suo modello geopolitico di potere marittimo contrapposto a quello continentale era infatti pensato anche per le epoche future. Egli era di fatto un determinista seppure si proclamasse riluttante (2). La sua teoria, considerata nelle componenti fondamentali, ovvero i concetti di Heartland, pivot e la dicotomia potenze marittime/terrestri è fondamento della geopolitica detta “Continentalista” valida ancora oggi.

Egli riconobbe che lo sviluppo dell’attività navale europea aveva creato le condizioni per un’inversione del rapporto storico tra Asia e Europa. Da sempre, infatti, quest’ultima si era sentita minacciata o era stata invasa dai popoli in arrivo da est e schiacciata dall’Oceano Atlantico ad Ovest. Grazie al dominio sulle terre scoperte dopo il 1492 essa era finalmente riuscita nell’impresa di circondare la prima e costringerla alla difensiva (3).

” […].l’effetto politico più ampio fu di capovolgere le relazioni dell’Europa e dell’Asia, in quanto fino al Medio Evo l’Europa si trovava ingabbiata tra un impenetrabile deserto a sud, uno sconosciuto oceano ad ovest, distese ghiacciate o coperte di fredde foreste a nord e nord-est. Ad est e sud-est era costantemente minacciata dalla superiore mobilità di cavalieri e cammellieri, ma ora essa emerge nel Mondo, moltiplicando più di trenta volte la superficie del mare e terre costiere alla quale ha accesso, e avvolgendo con la sua influenza la potenza terrestre Euroasiatica e minacciandone perciò la sua stessa esistenza. […]” (4).

La Prima Guerra Mondiale aveva stabilito la netta supremazia delle forze marittime su quelle terrestri. Mackinder rilevava tuttavia ancora dei pericoli in questa situazione in quanto il controllo europeo dell’Heartland non si era realizzato e le relazioni tra slavi e tedeschi creavano un’area di possibile contatto/conflitto foriera di nuove problematiche. In Democratic Ideals and Reality del 1919 Mackinder indicò l’Europa centrale come nuovo ago della bilancia del potere mondiale. Il libro venne scritto nei giorni degli accordi di pace di Versailles e del ridisegno dell’assetto europeo. Il suo celebre motto cambiò e divenne:

”Chi controlla l’Europa dell’Est, comanda l’Heartland, chi comanda l’Heartland comanda l’isola mondo, chi comanda l’Isola Mondo comanda il Mondo” (5).

Mackinder infatti era convinto che che se la Germania nel ’14 avesse rivolto tutta la sua forza verso la Russia, restando sulla difensiva sul fronte francese, avrebbe conquistato l’Heartland e quindi il dominio sul continente (6). Egli inquadrò come Potenze dell’Est sia la Germania che l’Impero Asburgico e individuò come perno un’area di mezzo tra Russia e Europa che si dispiegava dal Mar Baltico all’Adriatico, ovvero quasi esattamente quella che un giorno sarebbe stata occupata dalla “Cortina di Ferro”.

Quello spazio geografico tra l’Europa e la Russia doveva separare le due potenze e contemporaneamente impedire una rinascita tedesca. La risoluzione della questione tra tedeschi e slavi era per Mackinder, prerequisito essenziale per una pace duratura, cui andava aggiunto un adeguato ridimensionamento del territorio tedesco. Era inoltre necessario che non si creasse uno spazio economico per la Germania in quell’area poiché la forza economica tedesca vi si sarebbe subito imposta a scapito delle potenze marittime e quindi della pace. Nonostante la crescita della Germania, la Russia rimaneva la principale opponente della Superpotenza Britannica nel “Great Game” euroasiatico.

La Russia, sovietica da due anni, restava in cima alle preoccupazioni di Mackinder in quanto ora capace di propagare la sua forza sulle ali della rivoluzione e della lotta di classe grazie all’ideologia marxista-leninista. La sua opposizione al comunismo era netta e forte era il suo supporto alla nascente Lega delle nazioni, istituzione capace di diffondere la democrazia e il liberalismo nel mondo (7). Egli riconosceva però nella propaganda marxista un’arma potente in mano alla Russia in quanto capace di travalicare le frontiere e portare anche in occidente quello spirito della Rivoluzione che poteva minare dall’interno le democrazie europee.

 “La vera Europa” secondo Mackinder

Egli diede molta importanza alla distribuzione dei continenti e degli oceani anziché alle caratteristiche razziali o climatiche affermando una sorta di “determinismo spaziale” (8). La caratteristica cruciale della sua geografia politica fu quella di far coesistere due aspetti dell’impero britannico in contrasto fra loro: l’essere impero dei commerci guidato dalla sola potenza marittima inglese e il suo contemporaneo aspetto transnazionale e multirazziale, fondato su una gerarchia razziale e sociale. Mackinder descrisse questa unità su base geografica, e marittima in particolare, potendo così aggirare la necessità di descrivere l’impero come una comunità di destino, posizione insostenibile poiché non vi era alla base nulla di comune che potesse tenere insieme popoli e culture tanto diversi tra loro (9). Ma in fondo Mackinder considerava l’impero come un mezzo per mantenere le basi economiche della Gran Bretagna attraverso il potere militare, al fine di assicurare la sopravvivenza nazionale. Il modello immaginato da Mackinder può essere considerato valido ancora oggi.

Le idee di Mackinder, e in particolare il suo concetto di perno e la sua suddivisione del mondo in tellurocrazie e talassocrazie, portano l’analisi geopolitica fuori dall’ambito della Storia, in un ambito di determinismo geografico: la geografia vince sulla Storia (10) .

 

Nicholas Spykman : il Rimland, l’anello più prezioso.

Speculare alla teoria di Mackinder era quella di Nicholas Spykman (1893-1943) che negli anni ’30 del ‘900 postulava l’esistenza di un’area detta Rimland formata da tutti gli stati rivieraschi attorno all’Heartland. A suo giudizio era questo il vero perno geografico. Il suo controllo da parte delle potenze terrestri avrebbe reso autosufficiente e inattaccabile l’Heartland.
Secondo la sua tesi, questo anello attorno alla massa asiatica rivestiva una importanza maggiore rispetto all’Heartland proprio in virtù della sua possibilità di collegare il mare alla massa terrestre. Era quindi quella parte di territorio che si rendeva necessaria al commercio mondiale e che comprendeva Suez, Hormuz, l’India, Malacca, il mare del Sud della Cina e il Giappone in Asia.
L’intera Europa era ricompresa nello schema così come l’area mediorientale. Spykman elaborò le sue tesi in maniera fortemente orientata alla geografia considerando tutto il globo nella sua analisi geostrategica anche alla luce degli sviluppi del trasporto aereo e della supremazia navale americana tra gli anni ’30 e ’40. Contrariamente a Mackinder, Spykman considerò strategicamente importante la posizione degli Stati Uniti in quanto capaci di influenzare tanto le vicende asiatiche quanto quelle europee.
Concordando con le tesi dall’ammiraglio Mahan individuò nell’Oceano Indiano un’area focale del controllo geografico in ottica militare e l’India un avamposto fondamentale come già Mackinder prima di lui. Definì “Mediterraneo Asiatico” l’area di mare che comprende il Giappone, la Cina e l’India e “Mediterraneo Caraibico” lo spazio tra la Florida, il Messico, il Venezuela e Cuba. In quest’area la supremazia era ancora garantita dalla dottrina Monroe, mentre nell’area asiatica poteva essere conquistata a causa della scarsa capacità di penetrazione della marina sovietica.
Egli suggeriva con forza che gli Stati Uniti abbandonassero la postura difensivista e isolazionista e sposassero invece una politica più realista e assertiva. Il concetto di “eccezionalismo Americano” e l’utopismo wilsoniano in uso al tempo fondavano una visione estrema di determinismo ambientale tra i geografi americani, che Spykman avversava dimostrando nelle sue tesi ottime dosi di realismo (11).

Fin dalla rivoluzione americana, l’ideologia politica di quel paese poneva particolare rilievo su due particolari differenze tra Europa e Stati uniti, ovvero il forte accento dato al tema del libero commercio e all’ideale di una Nazione pacifica (concetti antitetici al diffuso statalismo europeo), e la visione degli USA come esperimento sociale (12). Lo stesso Wilson aderiva a questa visione e era fautore di una missione civilizzatrice americana nel mondo sebbene l’opinione pubblica americana fosse fortemente incline all’isolazionismo in politica estera. Sue le parole:

Quante più democrazie vi saranno nel mondo tanto più si diffonderà l’egemonia ideologica americana” (13).

La preoccupazione di Spykman restava comunque quella che si scongiurasse il dominio tedesco o russo della massa Euroasiatica sebbene egli riconoscesse necessario mantenere una Germania forte in chiave antirussa in tutta l’area dell’est (14). La Russia sovietica occupava stabilmente la massa Euroasiatica e si allargava da Vladivostock e Port Arthur, strappate alla Cina, sino a Baku con mire sull’Iran e sul Pakistan (che ai tempi di Spykman, morto nel 1943, ancora non esisteva). In Europa si affacciava ormai sul Mar Baltico e potenzialmente sull’Adriatico mentre i suoi confini di terra ricomprendevano metà della Germania e l’intero ex impero asburgico, quella Mitteleuropa che Mackinder aveva indicato come il nuovo pivot nel 1919. Spykman morì nel 1943 senza poter vedere dispiegarsi i risultati della guerra ma riuscì a prevedere lucidamente le tendenze del futuro. Innanzitutto comprese che lo sviluppo del trasporto aereo e marittimo potevano permettere agli Stati Uniti di dispiegare il loro potenziale militare praticamente ovunque in brevissimo tempo rendendo così globale la geopolitica.
Egli affermò che il dopoguerra avrebbe visto una decentralizzazione regionale del potere non tanto in chiave militare quanto in quella economica e politica. Previde la futura politica del contenimento (in seguito enunciata da George Kennan) indicando nel Medio Oriente, nell’Europa Occidentale e nell’Oceano Indiano i teatri delle operazioni di contrasto all’URSS. Spykman continuò comunque a considerare centrale l’Europa in chiave di dominio globale americano e non era affatto favorevole ad una più stretta integrazione europea (15).
In essa Mackinder vedeva la possibilità che un’Europa unita e dotata di un proprio esercito potesse far venir meno l’esigenza di una presenza americana sulla massa Euroasiatica condannando gli USA all’espulsione dalla penisola europea. La conquista militare e il mantenimento della presenza americana erano l’unico modo di garantire con certezza l’arresto dell’avanzamento dell’URSS e quindi del comunismo sul globo. Il contenimento dell’Unione Sovietica dal versante europeo, che sarebbe divenuto la dottrina imperante in USA nei seguenti 30 anni, doveva basarsi su presupposti geografici e non su elementi culturali condivisi come il liberalismo o la democrazia.

 

di Fabrizio Bertolami per Comedochisciotte.org

14.09.2023

TERRA E CONQUISTA: IDEE IN GUERRA

 

TERRA E CONQUISTA: IDEE IN GUERRA

Dopo aver delineato, per sommi capi, cosa si intende per geopolitica, proseguiamo con la storia di questa disciplina, con una digressione sui suoi padri fondatori: Ratzel, Kjellen e Hausofer

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di Fabrizio Bertolami per Comedonchisciotte.org

Con la fine dell’800 si conclude definitivamente la fase di conquista di territori liberi e ogni ulteriore espansione chiama in causa i confini di un altro impero. La Russia domina la massa euroasiatica dalla Finlandia sino all’Alaska, l’Impero Asburgico e la Germania la fronteggiano ad Ovest,la Francia detta la politica continentale e la Gran Bretagna domina i mari e possiede colonie in tutto il globo. In Asia, la Cina vive gli ultimi tumultuosi decenni dell’Impero Qing e combatterà in seguito per la propria integrità contro tutte le altre potenze mondiali. Il Giappone è uscito dal suo isolamento secolare e ora si propone come una delle potenze più dinamiche e in piena espansione. Per questo motivo entrerà in seguito in rotta di collisione con gli Stati Uniti, desiderosi di mantenere stabilmente nella loro sfera di influenza l’Asia del Sud e il Pacifico. L’Africa subsahariana è un insieme variegato di colonie europee mentre la costa sud del Mediterraneo resta ancora in mano all’impero Ottomano, così come l’area che va dal mar Nero al Golfo Persico.
Fra il 1815 e il 1875 la superiorità navale permise alla Gran Bretagna di imporre le proprie politiche commerciali e monetarie al mondo, inglobando nel suo sistema Nazioni di ogni continente ma la cui caratteristica comune era quella di essere raggiungibili via mare. La crescita industriale degli Stati Uniti e dell’Europa continentale mise progressivamente fine al sistema commerciale inglese e il mondo si polarizzò in due blocchi. Il blocco anglo-francese e statunitense mirava allo status quo mentre l’altro capeggiato dalla Germania tendeva ad acquisire possedimenti coloniali e a sostituire il predominio finanziario della Gran Bretagna nel mondo. Il ruolo sempre maggiore dei governi nelle attività economiche e la scolarizzazione di massa produssero il sentimento diffuso che le nazioni fossero delle comunità di destino (1). La rivalità inter-imperiale fu alimentata dai crescenti Nazionalismi connaturati a questo processo storico e la Prima guerra mondiale fu l’inevitabile conseguenza della competizione fra le potenze dominanti (2).
In questo panorama naque la disciplina della Geopolitica ad opera di autori come MackinderRatzelKjellen e più tardi Hausofer e Spykman, capaci di coniugare geografia e storia in maniera dialettica.
Tutte le teorie di questi autori mettono in luce come alcune ricorrenze storiche siano frutto della particolare geografia dei luoghi in cui si sono svolte e che ciò determina alcune costanti geografiche che hanno influenzato e influenzeranno il senso della Storia nei secoli. La geopolitica del XX secolo è anche geo-storia. Essa non è solamente rivolta ad un’analisi degli avvenimenti passati quanto ad un ragionamento teso a poter prevedere quali territori dovranno essere oggetto dell’azione della politica estera dello Stato in maniera scientifica, anche se non del tutto scevra dalle opinioni politiche del tempo e degli autori stessi.

Durante i secoli precedenti era continuamente accaduto che le nazioni europee si ingrandissero a scapito dei vicini grazie a spoliazioni territoriali, matrimoni dinastici e guerre. Era però un panorama che stava sparendo. Un elemento dominante nella geografia politica del tempo era l’idea che ciascuno stato avesse o dovesse avere dei confini naturali. Ciò presentava la possibilità di poter usare i caratteri della geografia fisica per determinare l’area naturale dello Stato ma portava anche a poter pensare che esistesse ancora dello spazio “irredento” da riportare sotto le ali protettrici della “Patria”, e che questo spazio dovesse per forza essere riconquistato.

Un altro elemento era il nazionalismo economico. Lo stato-Nazione veniva definito come l’unità fondamentale di tutte le transazioni economiche per cui gli individui e le imprese erano subordinati alle più importanti necessità di esso. Più ampio lo Stato, più vasto la spazio economico, più grande la potenza. Le colonie erano il più ovvio metodo di ampliamento spaziale, separate dalla Madre Patria per cause di forza maggiore, ma necessarie allo sviluppo e al progresso tanto quanto il “Sacro Suolo”. Il potenziale degli stati di diventare grandi potenze era legato alle loro prospettive industriali che erano a loro volta determinate dalla disponibilità di risorse naturali, dall’abilità di sfruttarle e da mercati di sbocco per i prodotti finiti della Madre Patria.
In Europa però vigeva un rigido sistema di frontiere e dazi tali da impedire un fluido commercio intra-europeo in un epoca di produzione industriale massificata e economie di scala. Inoltre nuove Nazioni erano desiderose di delimitare il proprio spazio di sovranità fiscale, economica e militare. L’Europa a cavallo tra ‘800 e ‘900 testimonia la conclusione delle lotte per la costituzione delle nazioni e la definizione dei confini che saranno poi oggetto della Prima Guerra Mondiale.

Germania e Italia, ora unite e indipendenti, si aggiungono alle lista delle altre Nazioni libere d’Europa.
La preoccupazione legata agli spazi geografici è anche sicuramente figlia della crescente quota che il commercio internazionale ha nella produzione del reddito nazionale. Il dominio inglese sui mari, ad uso e consumo di un mercantilismo aggressivo, aveva portato ad un primo abbozzo di globalizzazione dei mercati anche sfruttando un momento in cui le regole del mercato potevano essere decise con i cannoni e solo dopo essere scritte sui trattati bilaterali. Ovvio che la posizione, marittima o meno, fosse determinante per poter fare dell’esportazione e dello scambio un motore per l’accumulazione di capitale. nazioni come la Germania non erano certo avvantaggiate ma se il vapore aveva permesso il commercio internazionale marittimo su larga scala, quello stesso vapore poteva alimentare i treni che erano il mezzo scelto dai tedeschi per dare forma alla loro espansione territoriale.

Friedrich Ratzel : gli Stati come esseri viventi

I padri fondatori della disciplina geopolitica sono il tedesco Friedrich Ratzel (1844 – 1904) e lo svedese Rudolph Kjellen (1864-1922) . Il primo, maestro del secondo (3), aveva una concezione globale dell’influsso sulla politica della geografia, non solamente intesa in maniera fisica ma anche dal punto di vista economico, culturale e tecnologico (4). Secondo Ratzel fondamentali sono i concetti di superficie e ampiezza dello stato in quanto egli afferma che gli stati possono prosperare solo se si espandono. Ciò accade in virtù di una vitalità sociale e livello culturale e industriale superiore. Anzi :

[…].le dimensioni di uno stato divengono uno dei metri del suo livello culturale” (5).

La sua è anche una concezione geostrategica della posizione delle nazioni: la Germania è il crocevia europeo verso l’Est, l’Inghilterra domina lo spazio marittimo grazie alla sua insularità, l’Italia è il ponte fra Europa e Africa.
I principali elementi della politica ratzeliana sono:

  1. La proposta di riorganizzare la geografia in generale intorno alla geografia dello Stato aristocratico borghese e al servizio di esso (6).
  2. L’influenza del determinismo di stampo biologico in uso nelle scienze sociali del tempo. Ratzel concepiva lo stato come un organismo vivente il cui territorio variava nel tempo a seconda della sua vitalità sociale e demografica (7).
  3. La definizione di Lebensraum (Spazio vitale). Con l’aumentare della sua popolazione, la ricerca delle risorse portava alla necessità di scegliere tra espandersi o morire. L’espansione poteva avvenire annettendo dapprima gli stati più piccoli a sé o cercando di ricomprendere exclaves culturalmente omogenee rispetto allo Stato.

Ratzel non riteneva che il nemico principale fosse la Gran Bretagna quanto la Russia, poiché impediva alla Germania la piena espansione e l’occupazione del proprio Lebensraum verso est (8). Egli infatti immaginava il continente europeo, e specialmente quella parte orientale detta mitteleuropa, come l’ambito destinato all’espansione imperialistica tedesca (9) .

Rudolph Kjellen: lo Stato-organismo

Rudolph Kjellen (1864-1922) fu il primo studioso ad usare il termine geopolitica . Egli considerava la geopolitica come “organismo geografico” (10). che in prima istanza coincide con il territorio della Nazione fondata etnicamente. La sua disciplina viene poi ulteriormente suddivisa in sociopoliticaeconopolitica e demopolitica. La sua era una categorizzazione sviluppata per valutare il livello di potenza relativo dei vari stati per dedurre l’evoluzione degli assetti delle relazioni internazionali (11). Kjellen era visceralmente antibritannico e ardentemente filotedesco. Non condividendo il sistema internazionale fondato sulla pax britannica, egli ipotizzò un sistema internazionale riorganizzato in tre macro-regioni:

  1. Area Americana.
  2. Area germano-scandinava. Include l’est Europa, la Russia e il medioriente fino a Baghdad.
  3. Area asiatica. Include tutta l’Asia e ha un leader nel Giappone.

La sua era una visione piuttosto netta: solo la germanizzazione del continente ne avrebbe permesso l’integrazione e garantito la salvezza della stessa cultura europea. “Un Europa tedesca per fronteggiare la competizione delle potenze anglosassoni ad ovest e quelle orientali ad est” (12). Alcune delle sue idee, come quella panregionale e dello stato-organismo, vennero in seguito riprese dal regine nazionalsocialista tedesco nei progetti di riorganizzazione dell’Europa vent’anni dopo (13).

Karl Hausofer : Spazio e Volontà di Potenza

In Germania, a seguito delle condizioni imposte dalla pace di Versailles, il calderone di rivendicazioni geografiche, economiche e politiche si riempiva e veniva condito da teorie geopolitiche più consone ad una volontà di rivalsa, irredentismo e espansione economica. La scuola della Geopolitik tedesca riunì il concetto ratzeliano di “Stato organismo” elaborato da Kjellen al modello strategico globale di Mackinder. La geopolitica, in quanto disciplina scientifica, diventò così programma e non più opzione. Dal 1933 al 1945 questo programma venne assunto politicamente dal governo Nazionalsocialista di Adolf Hitler.
Questa prospettiva fu adottata da Karl Hausofer (1869-1946) e dai suoi adepti poiché offriva contemporaneamente una spiegazione e una soluzione alla situazione tedesca dopo la I Guerra Mondiale e segnava una strada verso la rivincita. E’ spesso presente negli scritti di Hausofer, un sentimento di avversione verso gli Stati Uniti e l’Inghilterra, colpevoli di voler soffocare la libertà dei “tre grandi popoli del futuro” Russi, Tedeschi e Giapponesi (14). Centro del modello dello studioso tedesco era la teorizzazione dell’esistenza di panregioni omogenee su base razziale e etnica (pangermani, panslavi, panarabi,. . . ) e l’idea che il mondo fosse costituito fondamentalmente da due raggruppamenti: i colonizzatori e i colonizzati.
Hausofer deve quindi a Kjellen anche il modello panregionale oltre all’idea di stato-organismo. Il progetto geopolitico della geopolitik fu infatti mutuato dalla teoria dello studioso svedese. Hausofer pensava a una divisione del mondo in panregioni sviluppate nel senso dei meridiani per ricomprendere aree temperate e aree tropicali (14).

 Le pan-regioni di Hausofer
Centrale nel suo ragionamento era il concetto di “Lebensraum” o spazio vitale, strettamente legato alla specifica demografia tedesca e alla mobilità geografica che nei secoli aveva disperso comunità di lingua tedesca in tutta l’Europa dell’est. Ciò funse da base ideologica per le successive annessioni, operate dal regime nazionalsocialista in Austria, Cecoslovacchia e Polonia. La teoria faceva del Lebensraum il fattore di spinta dell’espansionismo con la motivazione che non poteva darsi ai tedeschi un territorio inferiore a quello che avevano già conquistato storicamente nei secoli. L’ingiustizia dei confini segnava una forzata interruzione dell’area di lingua tedesca e perciò essi dovevano essere ridisegnati in modo da ricomprendere quelle comunità disperse e allargare il suolo del regno tedesco ridisegnando nuovi confini. La geopolitik di Haushofer caldeggiava un alleanza con l’URSS immaginando l’Europa centrale come una federazione multietnica e attribuiva, fino agli anni ’30, poca importanza alla questione razziale.
Ciò che Haushofer aveva in comune con i Nazionalsocialisti era un risentimento verso i termini economici imposti dal trattato di Versailles così come a quei riaggiustamenti territoriali come il corridoio di Danzica, la restituzione dell’Alsazia alla Francia e soprattutto l’occupazione straniera del bacino minerario della Ruhr che avrebbero portato “alla cancellazione della Germania come soggetto della storia” (16).
Haushofer credeva inoltre che le sue idee geopolitiche avessero una valenza generale. Raffestin afferma che:

Il punto delocalizzato e “divino” implicito nelle carte dei geopolitici tedeschi rappresentava un tentativo di prevedere l’equilibrio di potere fra stati rivali piuttosto che un tentativo di analizzare i contesti geografici di tali stati nella loro complessità” (17).

La sua era una geopolitica filosofica più che pratica, poiché non metteva a disposizione del “Principe” i mezzi per ottenere quell’espansione territoriale che essa stessa propugnava ma ne fondava i principi. I frequenti rapporti con il Giappone, paese in cui Haushofer fu diplomatico tra il 1909 e il 1910, lo portarono a giustificare anche le azioni del nascente Impero Giapponese in Asia la cui opera era considerata in un ottica antiamericana nell’area e garante di un ordine stabile, vista anche la progressiva debolezza verso la quale stava scivolando la Cina. Haushofer riconobbe la valenza geopolitica del patto Molotov-Ribbentropp del 1939 e fu contrariato quando i tedeschi lo ruppero invadendo l’URSS nel ’41. Come detto, la Geopolitik immaginava infatti l’Europa centrale come una federazione multietnica in cui l’elemento razziale, almeno fino all’avvento al potere del Nazionalsocialismo negli anni ’30, non rappresentava un argomento ostativo (18).
Il suo disegno profetizzava quindi un blocco continentale che andasse dall’Italia alla Russia, passando per la Germania per finire al Giappone. Un immenso spazio che contemporaneamente egemonizzava l’Heartland, spezzava il fronte del Rimland e metteva Italia e Giappone a difesa dei confini marittimi dalla presenza degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. A seguito della sconfitta tedesca, il termine geopolitica venne progressivamente associato alle idee naziste e l’intera disciplina cadde nell’oblio. La geopolitica come disciplina a sé stante cessò di esistere e non venne più insegnata nelle Università dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ciò non significa tuttavia l’eliminazione tout-court dall’insieme di strumenti analitici in uso ai governi anche negli anni della Guerra Fredda. (segue…)

di Fabrizio Bertolami per Comedonchisciotte.org

10.09.2023

L’ERA DELLA GEOPOLITICA

 

Oggi il termine Geopolitica pare essere ovunque e non è un caso: mai prima d'ora Politica, Geografia, Economia, Cultura e le mille sfaccettature dell'agire umano sono state così collegate tra loro. Ma cos'è veramente la Geopolitica? Una disciplina, una Scienza o una modalità di ragionamento? Quello che segue è il primo di una serie di articoli, alcuni monografici, dedicati agli autori che hanno influenzato il pensiero geopolitico corrente.


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Di Fabrizio Bertolami per ComeDonChisciotte.org

Con il termine Geopolitica definiamo una disciplina che è stata originariamente fondata per fornire una conoscenza scientifica, quella geografica, ai decision-maker dei primi anni del ‘900, ma oggi è molto di più. Il Generale Carlo Jean definisce la Geopolitica :

[…] una forma di ragionamento olistico che mira a individuare i futuri possibili, generati dalle dinamiche delle forze in gioco” (1).

Essa è quindi una modalità di interpretazione di scenari complessi in cui le logiche sono interdisciplinari: non solo geografia e politica, ma anche economia, cultura, potenziale militare e persino il fattore religioso, concorrono alla creazione e all’interpretazione di un’ottica geopolitca.
Si può ampiamente concordare con Raymond Aron quando afferma che:

“[…] se ci si aspetta, sotto il nome di teoria Geopolitica, l’equivalente di ciò che offre ai costruttori di ponti la conoscenza dei materiali, una cosa del genere non si ha, e non si avrà mai”.

Non esiste alcuna “Teoria Generale della Geopolitica”. Tra tutte, solamente le teorie che si fondano su evidenze geografiche possono dirsi, in linea di massima, generali proprio perché fondate sulla morfologia del pianeta mentre le altre risentono dello “Zeitgeist” (lo spirito del tempo) e dei limiti imposti dallo sviluppo tecnologico dell’epoca.
Il termine nasce all’inizio del ‘900 e attraversa tutto il secolo: nato in ambito Positivista, diviene dottrina delle dittature tra gli anni Venti e Quaranta, per poi cadere in disgrazia e rinascere progressivamente a metà degli anni ’70.
Nella prima metà del secolo scorso, le caratteristiche fisiche delle Nazioni, interpretate in maniera politica, fornivano la base della maggior parte dei ragionamenti geopolitici. L’economia era limitata da frontiere fisiche (mari, montagne, deserti e steppe) e dai confini politici tra le Nazioni. Erano allora anche presenti grandi imperi che creavano spazi economici (oltre che politici, va da sé) chiusi, con organizzazioni differenziate e tecnologie esclusive. La guerra era perciò l’unico mezzo per espandere l’area economico-politica nazionale e solo dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, nasce un abbozzo di Sistema Internazionale di relazioni codificate, con la Lega delle Nazioni, ad affiancare le relazioni diplomatiche bilaterali in uso dal XVI Secolo.
Dopo la seconda Guerra Mondiale la Geopolitica diviene parte delle opposte dottrine politiche applicate nei due campi avversi, quello sovietico e quello occidentale; sono i massimi esponenti dei due blocchi ad enunciare, in maniera più o meno esplicita, la visione geopolitica della Nazione che rappresentano e sono organi e agenzie dello stato a fornire analisi e teorie per supportare le affermazioni dei due presidenti.
Si potrebbe però affermare che le teorie fondate sulle caratteristiche fisiche dei territori, come quelle che danno maggiore importanza alla massa terrestre piuttosto che a quella marittima (Tellurocrazie versus Talassocrazie), siano state esse stesse influenzate dal pensiero e dalle necessità strategiche del tempo. E’ vero infatti che nell’ultimo secolo l’area mediorientale, il sudest asiatico e l’area dell’Europa dell’est sono state al centro delle strategie delle principali potenze e che quelle aree siano oggi ancora terreno di scontro militare o economico. Se però nei prossimi anni lo sviluppo tecnologico del mondo si orienterà sempre più verso l’uso di energie alternative, le aree ricche di idrocarburi potrebbero forse perdere la loro centralità a scapito di altre aree, e i presupposti geografici delle teorie geopolitiche che su esse insistono potrebbero dover essere ridefiniti.
La cornice storica è infatti fondamentale nell’enunciazione di tutte le teorie geopolitiche. Inoltre non esistono teorie geopolitiche sempre valide per un dato sistema di potere in quanto tale, sia esso socialista, democratico o dittatoriale. Esistono poi paesi che non hanno sviluppato dottrine geopolitiche proprie né hanno importato quelle di altri. L’applicazione della teoria Geopolitica di Hausofer, con la sua sfrenata tendenza espansionista potrebbe, oggi, trovare più estimatori tra le file di Al Qaeda o dell’ISIS che non tra i membri del Partito Comunista Cinese per il quale non è semplicemente un’opzione percorribile.
La Cina ha importato il pensiero comunista da un tedesco come Marx ma non ha fatto proprie, nè potrebbe importare nessuna delle dottrine geopolitiche di scuola tedesca poiché il sostrato culturale su cui si fondano le due civiltà è completamente differente e diverse sono le caratteristiche psicologiche che le relative geografie hanno plasmato nei loro abitanti. Ciò non vuol dire che Pechino non abbia una sua ottica geopolitica, ma l’espansione fisica è sostituita da quella economica.
Le teorie geopolitiche hanno attraversato almeno tre fasi dalla fondazione della disciplina ad oggi:

  1. -Nel periodo, che possiamo definire ambito del canone storico, che va dal 1900 fino al 1945, l’obiettivo politico degli Stati è stata la conquista fisica, materiale dello spazio. E’ questa una fase che ricade nella tradizionale definizione della politica di potenza di cui la guerra è uno dei tradizionali strumenti.
  2. -Nel secondo dopoguerra e fino alla fine della guerra fredda la conquista materiale lascia lo spazio a quella ideologica. La guerra tra i due opponenti è un’eventualità negata dalla deterrenza nucleare e dalla dottrina MAD (Mutua Distruzione Assicurata), marxismo e capitalismo si combattono alle periferie e si rafforzano al centro. Anche la Geopolitica viene influenzata dalla contrapposizione manichea e la politica prende il sopravvento sulla Geografia nell’interpretazione della realtà.
  3. -Dal 1989 ad oggi l’obiettivo politico degli stati è di partecipare alla competizione nel commercio globale. La Geopolitica diviene geo-economia. Il concetto di frontiera fisica, fondamento dell’autorità dello Stato, è stato rimpiazzato da quello di interconnessione e di integrazione. Le merci e i capitali devono poter fluire dentro e fuori gli stati per permettere al sistema di funzionare. Oggi il soft power affianca, e in certi casi sostituisce, l’hard power nella gestione della politica estera.

Ogni periodo storico ispira le sue teorie geopolitiche. Le teorie passate e presenti fondano i loro obiettivi nella conquista di territori fisici e oggi anche immateriali, ma sono limitate dal quadro politico più ampio e dalle possibilità tecnologiche del tempo. Inoltre sono differenti i “fatti geopolitici” generabili e interpretabili: le sanzioni imposte dal congresso USA negli ultimi 30 anni alla Libia, all’Iraq, all’Iran, alla Corea del Nord o alla Russia, ad esempio, non erano strumenti utilizzati nelle Relazioni Internazionali nella prima metà del Secolo scorso (tranne nel caso delle sanzioni all’Italia del ’35) e quindi valutabili tra le opzioni utili nella definizione e nella interpretazione della Geopolitica di una determinata Nazione, così come il ruolo delle fluttuazioni finanziarie sulle piazze borsistiche mondiali hanno oggi un peso geopolitico che non avevano 50 anni fa.
Non tutti i paesi inoltre hanno la possibilità di essere soggetti attivi nel campo della Geopolitica, molti ne sono esclusivamente soggetto passivo ed altri non hanno mai sviluppato una propria dottrina Geopolitica. Durante l’ultimo mezzo secolo alcuni paesi sono transitati dallo stato passivo a quello attivo; il passaggio da un’ottica all’altra è necessariamente legato ad una politica di potenza, sia essa politica, militare o economica.
Negli ultimi trent’anni, la mutata architettura internazionale ha prodotto un aumento di consessi internazionali in cui i paesi una volta detti in via di sviluppo partecipano come interlocutori allo stesso livello delle Grandi Potenze donando ai primi un peso che non avevano in precedenza, permettendo loro addirittura di sfidare le seconde. Il pensiero geopolitico è perciò mutevole quanto lo è l’architettura del potere nel mondo. La configurazione delle Relazioni Internazionali impone le linee più ampie e prioritarie in termini di autorità e la Geopolitica vi si conforma, in qualità di braccio operativo, nei teatri e nelle situazioni di scontro.
Tutti gli esponenti delle varie scuole geopolitiche hanno infatti sostenuto tesi, enunciato teorie, pubblicato articoli, o agito direttamente, come Kissinger o Brzezinski, all’interno delle relazioni internazionali e dei rapporti di forza del tempo e la loro opera è stata influenzata da quel determinato, irripetibile, periodo storico.
Per dirla con Max Weber:

“[…] Sono gli interessi (materiali e ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l’agire dell’uomo. Ma le “concezioni del mondo”, create dalle “idee”, hanno spesso determinato, come chi aziona uno scambio ferroviario, i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività“.

Una volta caduto il muro, e terminata la contrapposizione tra blocchi, è ripresa la guerra economico-finanziaria interrotta nel 1914 tra le grandi economie del pianeta dislocate in ogni emisfero e a ogni latitudine. Le guerre pertanto non cessano ma cambiano forma e motivazione. Yves Lacoste scriveva nel 1994 su Limes, la rivista italiana di Geopolitica :

Contrariamente a coloro che proclamano che il mondo si de-geopoliticizza (sic) perché la guerra fredda è finita, si può pensare che il mondo entri progressivamente nell’era della geopolitica. E si tratta di fenomeni geopolitici sempre più complessi e interdipendenti“ (2).

Gli ultimi 30 anni hanno visto la realizzazione di un sistema finanziario-industriale altamente integrato che permette ai grandi capitali finanziari di fluttuare da un circuito economico ad un altro, dalle obbligazioni statali alle borse valori, dai futures sulle merci a quelli sul petrolio in maniera pressoché immediata. Tutto ciò crea un ambiente nuovo su cui agire e permette a quei capitali di divenire una leva per influenzare nelle loro decisioni le nazioni in cui quei capitali si riversano. Quei capitali finanziano, ad esempio, la costruzione di condutture per il petrolio o per il gas che corrono attraverso diverse Nazioni dal luogo di estrazione al mercato di utilizzo finale. Inutile dire che queste infrastrutture creano legami geopolitici e sono oggetto di geopolitica dalla fase della loro ideazione fino alla loro realizzazione e messa in opera.
Consideriamo poi i traffici commerciali su terra e via mare, che sono sviluppati come mai lo erano stati in precedenza. Le rotte commerciali che si dispiegano su tutti i mari hanno bisogno di una rete di sicurezza che impedisca loro di essere interrotte da guerre o pirateria. Questo viene garantito da un controllo internazionale sui punti nodali dei traffici come Suez, Malacca, Aden e il Mar Rosso o le coste sud dello Sri Lanka. Anche qui il controllo delle linee commerciali è oggetto di Geopolitica, prova ne è ad esempio, la fitta attività cinese per dotarsi di punti attracco e attraversamento alternativi al controllo americano come il porto di Gwadar in Pakistan, la base militare di Djibuti, l’acquisto di parte del porto del Pireo in Grecia o le trattative con la Thailandia per la realizzazione di un canale artificiale presso Kra che permetta di aggirare completamente Singapore e Malacca.
Che dire poi del sistema di produzione globalizzato che permette ad un prodotto ideato negli Stati Uniti di essere realizzato in Cina o in Vietnam per essere poi recapitato via mare ad un acquirente europeo? Quanto la Geopolitica entra nelle considerazioni degli investitori internazionali per determinare la locazione di uno stabilimento o l’apertura di un nuovo mercato per loro prodotti?
Andrew Hurrel, nel suo On global Order (2007), attribuisce alla presenza di attori economici sovranazionali come la Comunità Europea, ASEAN, il Gulf Cooperation Council, l’Unione Africana o il Mercosur, un’azione non solo sempre più orientata in senso geoeconomico ma anche portatrice di nuove normative e regolamentazioni che modificano l’ambiente politico più ampio.
E’ quindi necessario chiarire che l’ambito geografico del termine “Geo-Politica” è attualmente solo in parte connotato da caratteristiche fisiche e lo è sempre più per via di fattori come gli scambi finanziari o il commercio elettronico, che travalicano lo spazio materiale. Inoltre a questo si sommano altri elementi, che spesso rientrano nel concetto di “Soft Power” (termine coniato da Joseph Nye nell’omonimo libro del 2005), ovvero la capacità di una Nazione di influenzare gli altri attori sulla base di elementi immateriali, siano essi di natura culturale (l’immagine di sé proiettata attraverso il cinema e i media in generale, per esempio), etnica, valoriale o religiosa.
Si moltiplicano perciò gli ambiti in cui possono verificarsi “fatti geopolitici” per cui si amplia la base sulla quale le teorie geopolitiche possono svilupparsi e mutare nei loro mezzi, se non nei loro fini. Sebbene la conflittualità internazionale sia stata fino a 30 anni fa governata da considerazioni politiche e ideologiche le guerre attuali e del futuro, saranno prevalentemente combattute per il possesso e il controllo di beni economici vitali, di risorse necessarie per il funzionamento delle moderne società industriali e per la conquista di mercati di sbocco stabili e regolamentati. Non necessariamente il conflitto si espliciterà in forma armata ma sarà implicito nella stipula di trattati commerciali internazionali che vincoleranno le nazioni all’appartenenza a sistemi economici esclusivi, anche se potrebbero altresì essere oggetto di scontro i territori soggetti al transito delle linee energetiche e logistiche con conseguenti ripercussioni in termini politici, sociali ed economici.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica ed il conseguente superamento del conflitto bipolare hanno avviato un processo di progressiva trasformazione dell’assetto e dell’ordine geopolitico, geoeconomico e geostrategico globale in cui la progressiva integrazione dei mercati economici crea nuovi attori e nuovi contesti geopolitici. Tre decenni dopo la caduta del Muro di Berlino la competizione geopolitica si svolge sempre più attraverso la stipula di accordi commerciali transnazionali, che divengono pilastri del sistema di relazioni internazionali, in un mondo dominato dall’organizzazione reticolare dei rapporti economici.
Pensiamo ad esempio al tentativo, abortito, di realizzare il Trattato di Partnership Commerciale Transatlantica (TTIP), tra Stati Uniti ed Unione Europea. Esso puntava a realizzare un mercato privo di dazi e barriere doganali tra le due sponde dell’Atlantico, definendo un’armonizzazione degli standard produttivi e legislativi su diverse materie che potenzialmente avrebbero creato uno spazio chiuso o con alte barriere all’ingresso di nuovi paesi e contemporaneamente un forte disincentivo nel non farne parte.
Quell’accordo, parallelo a quello tentato sulla sponda Pacifica, detto TPP e poi annullato da Trump, era parte di un presunto disegno di “pivoting” messo in atto da parte degli Stati Uniti per continuare a garantirsi una centralità in un mondo sempre più multipolare e contemporaneamente accerchiare Russia e Cina tramite il controllo commerciale, militare e politico di quell’area che già Nicholas Spykman negli anni ’30 definì il Rimland (opposto all’Heartland di Mackinder), ovvero quello spazio che va dall’Europa Centrale all’Asia Sud-Orientale, passando per il Medio Oriente e l’area Centro-Asiatica.
Nei prossimi articoli, un rapido excursus sulle principali teorie ed autori del XX secolo permetterà di comprendere il bagaglio culturale della disciplina Geopolitica e le tesi che a più riprese si sono affacciate nel dibattito internazionale.
Oggi, la cornice più ampia entro la quale queste tesi vengono utilizzate, è quello della fine delle ideologie e l’affermarsi di un unico sistema internazionale nel quale democrazie di stampo più o meno liberale coesistono con regimi autoritari.
Tutte le Nazioni agiscono in un sistema politico internazionalizzato ed economicamente orientato al mercato (3) come preconizzato e sostenuto da Francis Fukuyama ne La fine della Storia e l’ultimo Uomo. In un ambiente che pare tendere all’omogeneità economica sono invece le particolarità culturali a fare la differenza e ad imporsi come fattori di integrazione o divisione in campo politico e geopolitico. Questo è quanto sostenuto da Samuel Huntington nel suo saggio Lo Scontro di Civiltà in cui afferma che le affinità culturali definiranno il quadro delle alleanze strategiche politiche ed economiche del futuro. Le riflessioni di Barry Buzan, contenute nel saggio Il Gioco delle Potenze in merito alla relazione tra identità e polarità nelle relazioni internazionali si rifanno in parte a questa linea di pensiero. Una visione differente è quella prospettata da Edward Luttwak nel suo articolo From Geopolitics to Geo-Economics: Logic of Conflict, Grammar of Commerce sul The National Interest del 1990 nel quale prospetta un futuro di accentuati conflitti di natura economica per il predominio su materie prime e mercati tra le grandi potenze mondiali.
Analizzeremo inoltre l’opera di Aleksander DuginLa Quarta Teoria Politica quale portatrice di una visione differente da quella “atlantista” e che di converso postula la necessità per la Russia, e per gli altri popoli dell’area Euroasiatica, di fare della propria diversità culturale una ricchezza ed un motivo di aggregazione in chiave antagonista al modello occidentale.
Secondo Dugin, la Russia dovrebbe guardare alla Cina ed all’area che va fino al Caspio per una integrazione militare, politica ed economica sulla base dei valori tradizionali che contraddistinguono l’Area Russo-Asiatica o “Eurasia”, come Dugin stesso la definisce.

Manca, non senza una ragione, un’excursus sulle teorie Geopolitche cinesi: il paese di mezzo è rimasto infatti in uno stato di autoisolamento fino al 1979 e da allora la sua postura internazionale è stata perloppiù orientata alla convivenza e all’assenza di scontri con le altre potenze in attesa di poter disporre degli strumenti militari, economici e politici per potersi rapportare con loro da una posizione meno svantaggiata. La Cina del XXI Secolo ha nella Belt and Road Initiative (BRI), nella sua partecipazione all’ASEAN+ e al gruppo dei BRICS, nella Shangai Cooperative Organization (SCO) e nella Banca Asiatica di Investimento nelle Infrastrutture (AIIB), l’area di dispiegamento della sua dottrina Geopolitica di ordine pratico, ma la teoria resta appannaggio del Partito Comunista Cinese che è notoriamente riluttante a svelare le proprie intenzioni più ampie.

Conclusioni:

Nel 1989 a Berlino si è chiuso un conflitto ideologico tra due sistemi non integrabili tra loro ovvero il liberalismo democratico e il socialismo di stampo sovietico. Questi due sistemi hanno imposto e predicato due stili di vita completamente differenti sotto tutti gli aspetti del vivere umano, da quello filosofico a quello economico, da quello sociale a quello politico. Gearòid O’ Thuathail nel saggio Critical Geopolitics del 1996 ha affermato che la fine della guerra fredda ha causato una crisi di significato nella politica globale:

“Il problema non è che non esistano ragionevoli definizioni per descrivere la nuova éra ma piuttosto che ne esistano troppe” (4).

Nei primi anni ’90 la vittoria del modello liberale è apparsa a Fukuyama pressoché completa. Nel 2001 la tesi di Huntington si è presa però una rivincita su quella di Fukuyama: la Storia non è finita perché un gruppo di persone in Afghanistan ha progettato un attentato alla più ricca e potente Nazione sulla Terra colpendola al cuore e mostrandola nuda e indifesa come non pensava di poter essere. Lo scontro di civiltà, preconizzato da Huntington qualche anno prima, è divenuto da allora uno scenario plausibile ed il suo paradigma fondato sull’esistenza di civiltà diverse ed in competizione tra loro è stato utilizzato per descrivere la situazione in divenire.

Il 2001 ha segnato la rinascita della geopolitica competitiva dopo gli anni del momento unipolare americano e il riassetto di potenze come Russia e Cina. Sono tornati con forza in campo gli interessi nazionali e le potenze regionali hanno cercato di ristabilire le proprie sfere di influenza. Negli anni seguenti il tentativo di “esportare la democrazia” manu militari è fallito e con esso anche la tesi di Fukuyama su una presunta Fine della Storia. L’idealismo di Fukuyama non è riuscito a venire a patti con la volontà della Russia di mantenere un ruolo di primo piano sullo scenario globale e inoltre egli non ha previsto l’impetuosa crescita economica della Cina e le sue possibili conseguenze.

La prima, dopo aver affrontato una lunga fase di difficoltà economica sotto le due presidenze di Boris Eltsin ha progressivamente riguadagnato una sua posizione sebbene non più paragonabile a quella di una superpotenza. Ancora oggi si discute se di essa si possa parlare in termini di potenza globale o regionale ma la crescente assertività di cui ha dato prova l’estabilishment russo negli anni delle presidenze Putin-Medvedev è stata certo un problema per i progetti globali americani.

Alexander Dugin e la sua teoria euroasiatista hanno avuto un ruolo nel riconcettualizzare la geopolitica russa post-guerra fredda verso obiettivi più orientati sui propri interessi nazionali.

Il tentativo di riconquista di quello che Brzezinski ha definito il “near abroad” russo è tutt’ora in corso. In molti casi è avvenuto grazie ad una politica energetica fatta di accordi bilaterali sul prezzo del gas o alla costruzione di nuovi gasdotti e oleodotti (il gasdotto North Stream che parte dalla Russia arriva ad esempio in Germania aggirando il territorio polacco mentre contemporaneamente l’Ucraina viene tagliata fuori dalle nuove linee di transito del gas verso l’Europa ).

In altri casi è stato fatto valere il peso dell’interscambio commerciale come nel caso della Bielorussia o delle repubbliche centro-asiatiche (Kazakhstan in primis). Nei primi anni ’90 Edward Luttwak ha predetto lucidamente che molte delle dispute geopolitiche della nuova era si sarebbero combattute sul terreno dell’economia e che le nuove armi sarebbero state rappresentate da barriere di tipo tariffario o dal possesso di materie prime. Ancora O’Tuathail ha affermato che sia Luttwak che Huntington, trovandosi a disagio nel passaggio ad un panorama post-guerra fredda, abbiano sviluppato teorie ed assunti che continuassero a legittimare il mantenimento di una “società della sicurezza” che salvaguardasse il ruolo degli Stati Uniti e dell’Occidente anche nella nuova era (5). Per quanto riguarda gli USA l’elemento di maggior peso da far valere a livello internazionale è stato, durante l’intero XX secolo, la possibilità di fornire quei beni pubblici (common goods) come la garanzia dell’ordine internazionale, la sicurezza e il mantenimento di un ordinamento liberale degli scambi economici che all’alba del nuovo millennio potevano essere insidiati dalle nuove potenze emergenti come la Cina o la stessa UE.

Probabilmente l’assenza di un paradigma alternativo come quello socialista e l’avvento dell’auspicata diffusione del modello liberale a livello globale ha obbligato i due autori ad valutare la possibilità della sparizione dell’eccezionalismo americano ed il venir meno del destino manifesto degli Stati Uniti nel mondo. Non più quindi modello da imitare ma una Nazione liberale come altre nel panorama internazionale. A distanza di 35 anni dalla caduta del muro di Berlino e a più di venti dall’inizio del millennio le teorie di Huntington e, in parte, di Fukuyama rappresentano ancora il fondamento dell’azione occidentale a livello internazionale. Di converso le teorie di Dugin, che in parte ricalcano l’impianto culturalista e civilizzazionale di quelle di Huntington, hanno la possibilità di divenire la base ideologica per la geopolitica di una risorgente Russia e forse anche di altri paesi come la Cina o l’Iran.

Di Fabrizio Bertolami per ComeDonChisciotte.org

05.09.2023

LA “BIBBIA” STRATEGICA DI MACKINDER RICONSIDERATA

 

LA “BIBBIA” STRATEGICA DI MACKINDER RICONSIDERATA

È passato così tanto tempo da quando Brzezinski aveva formulato la teoria di Mackinder che la diplomazia classica è impallidita.



Alastair Crooke

strategic-culture.su

Nel 1997 Zbig Brzezinski, la vera “mente nascosta” dietro il progetto di trasformare l’Afghanistan un pantano di “fango” in cui trascinare la Russia, aveva scritto il suo celebre libro “La grande scacchiera“. Un’opera che ha inserito “per sempre” nello Zeitgeist statunitense la dottrina Mackinder secondo cui “chi controlla il cuore dell’Asia controlla il mondo”.

Il sottotitolo era “Il primato americano e i suoi imperativi geostrategici“. Brzezinski aveva già scritto nel suo libro che, senza l’Ucraina, la Russia non sarebbe mai diventata la potenza dell’heartland, ma che, con l’Ucraina, la Russia avrebbe potuto e voluto diventarlo. Così, la dottrina di Mackinder, il dettame “chi controlla il cuore del paese”, era stata codificata nei “testi sacri” degli Stati Uniti: mai permettere una heartland unificata. E l’Ucraina era stata considerata il cardine attorno al quale ruotava il potere dell’heartland.

Brzezinski aveva anche stabilito che questa “Grande partita a scacchi” avrebbe dovuto essere una partita di pura supremazia statunitense: “No, non gioca nessun altro”, aveva insistito; è un gioco per uno solo. Una volta mosso un pezzo degli scacchi, “noi” (gli Stati Uniti) giriamo semplicemente la scacchiera e muoviamo i pezzi sull’altro lato (al posto “degli altri”). Non c’è “nessun altro” in questo gioco”, aveva avvertito Brzezinski.

Questo è il dilemma di oggi: è passato così tanto tempo da quando Brzezinski aveva formulato la teoria di Mackinder che la diplomazia classica è impallidita.

Era stato Henry Kissinger, tuttavia, a dare alla tesi di Mackinder la sua celebre svolta: “Chi controlla il denaro controlla il mondo” sarebbe diventato il dollaro e l’egemonia bancaria finanziarizzata.

Ma Kissinger, in questo, si sbagliava fin dall’inizio. Perchè, in realtà, è sempre stato così: “[Solo] chi ha capacità produttive, materie prime, cibo, energia (umana e fossile) e denaro vero può cambiare il mondo”. Ma Kissinger aveva semplicemente ignorato queste condizioni accessorie, legando invece gli Stati Uniti alla creazione di una “ragnatela globale di dollari usati come arma” (toccatela, e il velo delle sanzioni vi avvelenerà). Questo sistema era stato poi moltiplicato da Wall Street, che aveva concesso l’accesso a trilioni di denaro di nuova creazione solo ai compiacenti.

Kissinger, tuttavia, in omaggio a Mackinder, aveva anche sviluppato la dottrina della “triangolazione”: Gli Stati Uniti avrebbero dovuto cercare di allearsi con la Russia contro la Cina, oppure con la Cina in opposizione alla Russia. Mai e poi mai lasciare che Cina e Russia si alleassero contro l’Occidente. Il cuore dell’Occidente doveva rimanere sempre frammentato.

Queste “regole” sono impresse nei circuiti mentali di Washington. Tuttavia, le nozioni su cui si basano hanno oggi una scarsa validità. La contrapposizione tra gli Stati militarizzati e continentali (nel cuore dell’Asia) e le potenze navali (gli atlantisti) difficilmente riflette i sempre più astratti strumenti di potere  di oggi.

La sfera del dollaro, per esempio, è stata indubbiamente una fonte di potere per gli Stati Uniti (con l’imposizione ai vari Stati dell’obbligo di acquistare e detenere dollari) fin dagli accordi di Bretton Woods e da quelli sul petrol-dollaro. [Questo dominio] aveva creato una enorme domanda artificiale di dollari, che, inizialmente, aveva funzionato bene a favore di Washington. Ma ora non più di tanto.

Era troppo bello per essere vero: stampare e al diavolo conseguenze. Debito? Non importa: continuate a stampare. Washington ha esagerato (l’allettamento politico era troppo forte).

E così, l'”egemonia” del dollaro è passata da strumento di proiezione di potere a prima fonte di vulnerabilità degli Stati Uniti. In parole povere, il massiccio eccesso di dollari e di debito in dollari di Washington ha trasformato il “dollaro” in un’arma a doppio taglio: ora taglia contro l’Occidente. La base manifatturiera occidentale, finanziariamente troppo indebitata, si è atrofizzata e si è ridotta, dando vita negli Stati Uniti ad una società a due livelli, caratterizzata da enormi disuguaglianze.

L’attuale conflitto in Ucraina ha evidenziato le carenze del potere egemonico, carenze che derivano proprio da una base produttiva trascurata.

Mackinder, se oggi fosse qui, potrebbe quindi dover modificare il suo modello, distinguendo tra la terra che è “fuori” da un insieme di politiche economiche (il blocco asiatico, africano e globale del Sud guidato dai BRICS), e quella che è “dentro”, cioè all’interno di un paradigma consumistico e guidato dal debito “costiero”.

A ciò si aggiungono i costi specifici associati a questa eccessiva militarizzazione (cioè la “guerra” finanziaria “a tutto campo”). Il Tesoro americano ha usato diverse varianti: il debito (prima per far crollare la posizione globale della Gran Bretagna nel dopoguerra), l’arma dei tassi d’interesse per “ridurre a misura” il miracolo economico giapponese dei primi anni Ottanta. La Francia e l’Occidente avevano utilizzato la guerra per porre fine alle aspirazioni di Gheddafi di una sfera panafricana che utilizzasse il dinaro d’oro, piuttosto che il franco o il dollaro. E poi ci sono state la sanzioni senza precedenti alla Russia, che, paradossalmente, hanno dato origine ad una rinnovata forza economica della Russia, anziché al suo collasso finanziario (come ci si aspettava).

Anche in questo caso, però, vediamo l’incongruenza del doppio taglio della “spada delle sanzioni”: il Wall Street Journal ha notato che gli europei si stanno impoverendo – a causa delle misure di blocco, ma ancora di più aderendo al “progetto” di guerra finanziaria di Biden, volto a mettere in ginocchio la Russia):

Nel 2008, l’Eurozona e gli Stati Uniti avevano prodotti interni lordi (PIL) equivalenti, oggi il divario è dell’80%. Il Centro europeo di economia politica internazionale, un think tank con sede a Bruxelles, ha pubblicato una classifica del PIL pro capite degli Stati americani e dei Paesi europei: L’Italia è appena davanti al Mississippi, il più povero dei 50 Stati, mentre la Francia si colloca tra l’Idaho e l’Arkansas, rispettivamente al 48° e 49° posto. La Germania non salva la faccia: si trova tra l’Oklahoma e il Maine (38° e 39°). Il salario mediano americano è oggi una volta e mezzo superiore a quello francese.

Valeva la pena che i leader dell’UE ipotecassero il futuro dell’Europa in nome della solidarietà della Casa Bianca? In ogni caso, lo stratagemma delle sanzioni non ha funzionato.

Ebbene… gli Stati Uniti e l’Unione europea si trovano nel mezzo di una nuova svolta della “storia” geostrategica di Mackinder su come impedire l’emergere di un heartland unificato: Si tratta di una variante del progetto di “ridimensionamento” della superiorità tecnologica giapponese: È chiaro però che lo strumento dell'”Accordo di Plaza” (1985), che prevedeva la manipolazione dei tassi di interesse contro un Giappone “sconfitto” e compiacente, non funzionerà con la Cina.

La Cina infatti è sottoposta ad un assedio tecnologico accompagnato da una campagna di stigmatizzazione, in cui il suo leader viene sminuito, mentre l’economia cinese viene spremuta e le viene negato l’accesso alla tecnologia occidentale. Ogni giorno, i media celebrano le conseguenti difficoltà economiche della Cina:

“La sua crescita fulminea è rallentata, la breve impennata post-pandemia si è esaurita e gli analisti indicano profondi problemi strutturali che minano le prospettive future della Cina. Xi e la cricca al potere (sic) stanno lottando per affrontare le nuove sfide poste dalla maturazione dell’economia cinese… L’economia cinese una volta sembrava il nuovo motore del mondo [come lo era il Giappone]… ma si comincia ad avvertire una sorta di stagnazione”.

È vero. Il prolungato logorio americano dell’economia cinese ne ha frenato la crescita. Le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti e l’Europa sono in calo e la disoccupazione giovanile è fonte di preoccupazione per la leadership cinese.

Ma la Cina sa bene che questa è una guerra: la “guerra strategica di Mackinder”. In un recente viaggio a Pechino, il Segretario al Commercio degli Stati Uniti, Gina Raimondo, ha avvertito che l’incertezza prevalente, alimentata anche dalle dure azioni intraprese dal governo cinese contro le imprese straniere, sta rendendo la Cina “non investibile” agli occhi degli investitori statunitensi.

Un momento! Fermatevi un attimo per assimilare le parole del Segretario al Commercio: adottate il nostro modello economico, o vi taglieremo fuori!

Anche il segretario Yellen ha recentemente tenuto un discorso sulle relazioni tra Stati Uniti e Cina, sottintendendo che la Cina ha prosperato in gran parte grazie al libero mercato anglosassone, ma che ora si sta orientando verso una posizione statale, che “è conflittuale nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi alleati”. Gli Stati Uniti vogliono cooperare con la Cina, ma solo ed esclusivamente alle loro condizioni.

Gli Stati Uniti cercano un “impegno costruttivo”, ma che deve essere subordinato alla garanzia dei propri interessi e dei propri valori di sicurezza: “Comunicheremo chiaramente alla RPC le nostre preoccupazioni sul suo comportamento… mentre ci impegneremo con il mondo a portare avanti la nostra visione di un ordine economico globale aperto, equo e basato sulle regole”. La Yellen ha concluso dicendo che la Cina deve “giocare secondo le regole internazionali di oggi”.

Non sorprende che la Cina non ne voglia sapere.

È un esatto parallelo di quanto era avvenuto nel 2007 al Forum sulla sicurezza di Monaco. L’Occidente insisteva affinché la Russia accettasse il paradigma di sicurezza globale della NATO. Il Presidente Putin aveva sfidato l’Occidente: “Lo fate: attaccate continuamente la Russia – ma noi non ci piegheremo”. L’Ucraina è oggi il banco di prova di quella sfida del 2007.

In parole povere, il discorso della Yellen mostra una totale incapacità di riconoscere che la “rivoluzione” sino-russa non si limita alla sfera politica, ma si estende anche a quella economica. Dimostra quanto sia importante sia per Putin che per Xi l'”altra guerra”, quella per uscire dalla morsa dell'”Ordine” globale a guida occidentale.

Già nel 2013, in un discorso sulle lezioni apprese dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica, Xi aveva individuato la causa di questa implosione negli “strati dirigenti” (dopo il passaggio all’ideologia liberale-mercantile occidentale dell’era Gorbaciov-Yeltsin), che avevano portato l’Unione Sovietica al nichilismo.

Il punto di Xi era che la Cina non aveva mai fatto questa disastrosa deviazione verso il sistema liberale occidentale.

Putin aveva risposto: “La Cina è riuscita nel miglior modo possibile, a mio avviso, ad utilizzare le leve dell’amministrazione centrale (per) lo sviluppo di un’economia di mercato… L’Unione Sovietica non ha fatto nulla di simile, e i risultati di una politica economica inefficace hanno avuto un impatto sulla sfera politica”.

Washington e Bruxelles non ci arrivano. In parole povere, la valutazione di Xi e Putin è che il disastro sovietico era stato il risultato di un’incauta svolta verso il liberalismo occidentale; mentre, al contrario, l'”Occidente collettivo” vede come un “errore” della Cina – per il quale si sta portando avanti una guerra tecnologica di tipo finanziario- proprio il suo allontanamento dal sistema mondiale “liberale”.

Questo disallineamento analitico è semplicemente impresso nei circuiti mentali di Washington. In parte spiega anche l’assoluta convinzione dell’Occidente che la Russia sia così debole e fragile dal punto di vista finanziario a causa dell’errore primordiale di essersi sottratta al sistema “anglosassone”.

Il culmine: Washington sta violando la (propria) regola numero uno di Brzezinski: l'”imperativo” di fare in modo che Russia e Cina non si uniscano contro l’Occidente.

La grande domanda che ci si pone oggi è se la tecnologia armata come “imperativo geostrategico” per dividere l’heartland sarà più efficace nel raggiungere questo obiettivo di quanto non lo sia stato il dollaro usato come arma.

La scorsa settimana Huawei ha lanciato il suo nuovo smartphone dotato di un processore 9000s prodotto dall’azienda cinese di semiconduttori SMIC, con un processo di fabbricazione a 7 nm. Meno di un anno fa, quando gli Stati Uniti avevano introdotto una serie di sanzioni contro l’industria cinese dei semiconduttori, gli “esperti” avevano giurato che avrebbero ucciso l’industria, o almeno congelato il suo processo tecnologico allo standard di 28 nm. Ora la Cina è chiaramnete in grado di produrre in massa chip a 7 nm interamente in loco. L’iPhone 14 Pro ha chip a 4 nm, quindi la Cina è quasi alla pari, o forse in ritardo di uno o due anni.

Con una mossa, osserva Arnaud Bertrand, la Cina ha dimostrato che gli sforzi degli Stati Uniti per ostacolare Huawei e l’industria cinese dei semiconduttori sono stati inefficaci. Che cosa hanno ottenuto le sanzioni? Hanno contribuito alla produzione nazionale di una classe di semiconduttori che non esisteva prima delle sanzioni. Gli altri Stati hanno capito: rifornitevi di semiconduttori da aziende occidentali e gli Stati Uniti non esiteranno ad armare il settore per fini geopolitici. Comprate cinese, dice Bertrand.

Questa settimana, la Cina ha lanciato un fondo di investimento da 40 miliardi di dollari per sostenere l’industria dei semiconduttori.

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2023/09/11/the-mackinder-strategic-bible-reconsidered/
11.09.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.